Una chicca letteraria
L’edizione di De Bassus è una rarità tipografica e straordinariamente importante dal punto di vista storico, perché fu la più diffusa in Italia tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, ristampata a Milano nel 1800, a Basilea nel 1807, a Livorno nel 1808, a Firenze lo stesso anno e ancora nel 1823. Oltre all’altra traduzione del Dottor Michiel Salom: Verter / opera originale tedesca / del celebre signor Goethe / trasportata in italiano dal / D.M.S., che è stata stampata a Venezia dall’editore Giuseppe Rosa nel 1788, prima, e poi nel 1796, e che tralascia i passi più pericolosi, per non incappare nella censura, le altre due versioni italiane, di Ludger (Gli affanni del Giovane Werther, dall’originale tedesco tradotto in lingua toscana da C. Ludger, Londra 1788) e Salce (Werther. Tradotto dal tedesco per L.C. de Salce, Parigi 1803) ebbero scarsissimo seguito. L’edizione di Salom del Werther di Goethe omette quasi del tutto la lettera del 12 agosto 1771, in cui Alberto e Werther discutono sul suicidio, che il Grassi riporta per intero. Il testo del Grassi, sebbene più diffuso e letto, non fu il più accurato, perché era stato tradotto non dall’originale tedesco, ma da un’edizione francese, per cui se ne discostava più di quello del Salom, che è ripreso dalla lingua originale. La traduzione del Grassi è piuttosto approssimata: la prima parte non è distinta dalla seconda, manca quasi tutto il brano di Ossian, letto da Werther, ci sono omissioni, modifiche e imprecisioni, che indussero Salom a definirla “una infelice versione di Verter, lavorato sulla traduzione francese e piena delle scorrezioni di quella, oltre le proprie” (Werther, nella collana i Centauri a cura di Jolanda Sanfilippo, Ediesse, Roma 1997, p.17). Confrontando le due traduzioni Jolanda Sanfilippo, osserva che nel Salom “ogni omissione e ogni atto interpretativo fanno rigorosamente parte di una logica chiaramente individuabile”, dovute probabilmente alla censura, mentre nell’edizione del Grassi a Poschiavo, secondo lei, si ha l’impressione che la traduzione sia effettivamente piena di scorrettezze, di omissioni e aggiunte, dovute “ad un atteggiamento poco corretto verso il testo”. La versione di Salom, medico padovano, ebreo e legato alle Società segrete, ottenne l’imprimatur goethiano, che non ebbe l’edizione poschiavina. Salom aveva tradotto il Werther nell’estate del 1781, contemporaneamente al Grassi, ma i due non si conoscevano. Avendo terminato il lavoro, Salom ne inviò un saggio a Goethe, chiedendo nella lettera del 2 ottobre 1787 un parere sulla qualità della propria traduzione, perché desiderava “rendere quest’opera più compiuta di quello che abbia fatto non so quale Svizzero in una sua traduzione francese”. Nella lettera del primo febbraio 1788 poco prima del viaggio di ritorno dall’Italia, dalla sua seconda dimora a Roma, Goethe scrisse: “La gente mi secca anche con le traduzioni del mio Werther; e me le fanno vedere e mi domandano quale sia la migliore, e se tutta quella storia è vera. Quel Werther è un guaio, che mi perseguiterebbe sin nelle Indie”. Ad altri due seccatori, che furono probabilmente il De Bassus, insieme al traduttore Grassi, allude Goethe nella lettera del 12 dicembre 1781, indirizzata alla von Stein, in cui si sfoga per una cattiva traduzione italiana, inviatagli dall’autore in forma manoscritta. Il poeta fece riferimento all’edizione poschiavina anche in un’altra lettera a Eckermann, il 3 aprile 1829, quando accennò al vescovo di Milano che aveva fatto sparire, nella sua giurisdizione, le copie in traduzione italiana (vedi Johann Wolfgang Goethe, Opere, Sansoni, Firenze 1946, vol. II, p.1004).Gaetano Grassi aveva dedicato la sua versione del Werther a Hans Jakob Hess sovrintendente generale delle poste di Zurigo, dichiarandosi suo vero e costante amico. Hess era stato forse il mediatore tra Grassi e il De Bassus. La tipografia di De Bassus profittava, per la diffusione capillare nel mercato italiano, del favore delle poste svizzere, per il controllo delle relazioni con Bergamo, Milano e Venezia, e della amicizia di Hess (Massimo Lardi – corrispondente di italianOpera – , Goethe e Poschiavo, Quaderni Grigionitaliani, anno LVIII 3, luglio 1999). Grassi appone all’edizione italiana di Poschiavo un’importante prefazione, che giustifica il suicidio di Werther e dimostra d’essere molto vicina alle idee illuminate: difende il suicida, che è travolto dalle sue passioni, chiedendo per lui non il biasimo, ma la comprensione.Quel Werther fu per Mayr, interessato alla cultura e ai principi illuminati, una delle prime letture importanti in traduzione italiana e un testo sul quale controllare il possesso della lingua, essendogli già nota la versione tedesca: un’opera letteraria consigliata, perché scritta da Goethe, che era oltre tutto suo “fratello”. Il musicista, in età matura, negherà persino di conoscere il Werther goethiano o anche solo d’averlo sfogliato. Riguardo alle notizie delicate sugli anni giovanili, sappiamo com’egli sia lacunoso e reticente. Goethe, Mayr e De Bassus s’incontrarono con tutta probabilità nel 1788, nel viaggio di ritorno di Goethe attraverso il porto di Riva di Chiavenna (in provincia di Sondrio) e lo Spluga: in un breve diario, nei Paralipomena di Goethe, si legge infatti (1788): “24 aprile. Partenza da Roma. 28 a Siena. Maggio, 1. Firenze. 23. Milano. 28. Partenza da Milano. 29. Riva di Chiavenna. 30. Passato lo Spluga”. Mayr era giunto in Italia appena l’anno precedente, ai primi del 1787. Goethe nel viaggio d’andata era passato come al solito dal Brennero, ma al ritorno preferì deviare e allungare il tragitto, transitando per la zona grigiona, sotto lo sguardo del De Bassus, che sei anni addietro s’era tanto dato da fare per diffondere, primo in Italia, I dolori del giovane Werther.