La sonata da camera a tre è un genere musicale caratteristico già un secolo prima intorno al 1670. Secondo Manfred Bukofzer è realizzata da quattro strumenti: due per le parti acute, uno per quella grave e un altro che realizza gli accordi. Comunemente si ritiene che le sonate strumentali senza basso continuo siano una eccezione e debbano essere giustificate dai frontespizi o dalle prefazioni dei compositori. La sonata da camera a tre deriva dalla musica per danza a tre voci: due parti soprane un basso. Giovanni Battista Buonamente nel 1626 fa stampare il Quarto libro de varie sonate, sinfonie, gagliarde, correnti e brandi per sonar con due violini e un basso di viola e nel 1629 il Settimo libro di sonate … a tre, due violini, et basso di viola o da brazzo. L’armonia è sufficiente perché le tre voci realizzano accordi completi. I pezzi possono sembrare un poco scarni, ma non dobbiamo giudicare con le nostre orecchie.
Piuttosto è utile paragonare queste musiche con quelle del tempo specialmente le composizioni a tastiera a tre parti che certo non sono accompagnate dal basso continuo e tuttavia hanno la stessa tessitura. Il compositore richiedeva un’armonia semplice, non arricchita dall’accompagnamento, ma piuttosto dall’ornamentazione estemporanea delle parti. Martino Pesenti nella prefazione al Primo libro delle correnti alla francese per sonar nel clavicembalo et altri stromenti (1630) dice che l’effetto delle dissonanze nella voce acuta è migliore se non è accompagnato dalle parti interne, preferendo addirittura una armonia ridotta: “Non vi apporterà meraviglia ritrovare in alcune di queste mie correnti, none, settime, trìtoni, semiquinte e simili dissonanze poiché non accompagnando le parti di mezzo e sonandole a battuta presta rendono vaghezza et effetto contrario alla natura loro”. Per questo le composizioni di danze a tre devono essere eseguite dagli strumenti indicati nei frontespizi e quindi non hanno la realizzazione del basso. Questo contraddice il luogo comune che la musica strumentale barocca italiana abbia sempre incluso il basso continuo, anche quando non è specificato nelle stampe o sulle parti staccate. Allo stesso modo Giovanni Legrenzi vuole che le sonate a due apparse a Venezia nel 1655 siano realizzate da “violino e violone o fagotto”, senza uno strumento polifonico.
Marco Antonio Ferro riferendosi alle sonate a due op. 1 dice che possono essere indifferentemente eseguite “col violino et viola da gamba overo tiorba”. Nel barocco di mezzo Giovanni Battista Vitali (1632, 1692) e Giovanni Maria Bononcini (1642, 1678) compongono raccolte di danze in forma di Suites organizzate secondo la tonalità. Vitali distingue i pezzi “per ballare” da quelli “per la camera”, cioè le danze effettive da quelle stilizzate che acquistano una maggiore complessità polifonica pur mantenendo il vigor ritmico del genere. Anche nelle sonate da camera prevale l’organico a tre. Numerose composizioni nei titoli suggeriscono l’alternativa di usare uno strumento ad arco per il basso oppure uno strumento polifonico. Le sonate di rado hanno l’indicazione “violone e spinetta” per la parte grave e in genere poche fanno riferimento al cembalo. Nel 1670 secondo la prassi comune in Italia la voce inferiore è affidata a uno strumento ad arco oppure a uno strumento a tastiera, ma non a tutte e due. Nelle opere a stampa pubblicate a parti separate non ci sono comunque due parti per il basso. Le sonate sono indipendenti nella condotta contrappuntistica e per questo l’esecuzione con lo strumento a tastiera è l’alternativa meno soddisfacente: lo strumento “a corda solo” è specificato in alcuni manoscritti e pubblicazioni della seconda metà del 1600.
Tommaso Pegolotti nei Trattenimenti armonici da camera a violino solo e violoncello (1698) afferma che il violoncellista può aggiungere delle note acute alla parte del basso. Il compositore quindi vuole che i brani siano eseguiti da strumenti ad arco e non da un clavicembalo che non ha menzionato. Nelle esecuzioni il più delle volte non si suonava il cembalo.