In Italia la musica profana da camera nel XVII e XVIII secolo non dovrebbe essere accompagnata da uno strumento armonico, perché si preferiva lo strumento ad arco a quello a tastiera. In ogni caso la parte bassa non era realizzata insieme dai due strumenti (violoncello e cembalo). Ciò distingue la musica italiana da quella degli altri paesi europei e gli esempi per la prima non valgono per l’altra.
Il problema della prassi esecutiva nei secoli XVII e XVIII è assai dibattuto e riguarda soprattutto il basso continuo e la sua realizzazione. Spesso gli studiosi hanno interpretato alla lettera i documenti teorici applicando le considerazioni che valgono in genere per la musica vocale sacra, da camera e teatrale a quella strumentale, senza tenere in debita considerazione le differenze tra la cultura italiana e quella tedesca, francese, inglese ecc.
Johann Joachim Quantz nel Versuch einer Anweisung der Flöte Traversiere zu spielen (1752) dedica alla musica italiana numerose pagine, esaminando la prassi esecutiva e le differenze di gusto: “Potremmo portare ad esempio alcune orchestre: quando sì nota qualcosa di disordinato o una disuguaglianza nell’espressione, ciò deriva generalmente da un italiano … Gli italiani non hanno limiti nella composizione e la loro concezione è grandiosa, vivace, espressiva, raffinata, un poco bizzarra, libera, ardita, temeraria, stravagante …In una parola la musica italiana concede alquanta libertà, … di modo che quando si vuole ottenere un buon effetto il risultato dipende più dall’esecutore che dalla composizione. I tedeschi hanno alquanto progredito nella tecnica, … ma poche tracce si incontrano del buon gusto e delle belle melodie … Le loro musiche sono di struttura armonica e ad accordi pieni … Essi cercano più l’artificiosità che l’intelligibilità o la piacevolezza e scrivono più per la vista che per l’udito”.
C.Ph.Emanuel Bach pubblica l’anno successivo (1753) il Versuch über die wahre Art des Clavier zu spielen e rifacendosi alla tradizione germanica tratta il problema tecnico del basso continuo e l’approfondisce poi nel secondo volume (1762): “L’accompagnamento più completo in un pezzo a Solo, senza eccezione, è dato da uno strumento a tastiera insieme al violoncello”. Quindi, nella sonata a due, secondo lui, gli esecutori dovevano essere tre: il primo suonava la parte più acuta, il secondo il cembalo e il terzo raddoppiava la parte grave con il violoncello. “Alcuni hanno accompagnato un brano a Solo, sulla viola o sul violino, senza uno strumento a tastiera. Se questo è dovuto a motivo di necessità, per mancanza di buoni esecutori, deve essere scusato. … Un maestro italiano non aveva bisogno di un tale genere di accompagnamento”.
Infatti in Italia le cose stavano diversamente, perché altra era la concezione musicale, e secondo la diretta testimonianza dei contemporanei non si usava il clavicembalo, ma soltanto lo strumento ad arco. Charles Burney, autore della Storia generale della musica, nel 1770 fece un viaggio in Italia e annotò nel suo diario ciò che ancora caratterizzava la musica italiana: “A dire il vero, in tutta Italia non mi è accaduto di incontrare un grande clavicembalista e neppure un compositore originale di musica per clavicembalo. La ragione va cercata nello scarso uso che si fa qui del clavicembalo, eccetto che per accompagnare la voce”. Dopo avere osservato che, in effetti, è uno strumento trascurato dagli esecutori e dai costruttori, dice che nelle case private si è soliti accompagnare il canto con delle spinette, simili ai vecchi virginali inglesi, ma “con i tasti così rumorosi e il suono così debole che si fa sentire più il rumore del legno che il vibrare della corda”. Un trio di soli archi è visibile nell’olio su tela di Pietro Longhi (1702, 1785) intitolato, Il concertino e conservato alla Pinacoteca di Brera. La stessa cosa è mostrata in un affresco di Francesco Simonini (1689, 1753) nella villa Pisani a Stra o nel Concerto all’aperto di Pietro Domenico Olivero (1679, 1755). Gli italiani, continua il Burney, conservano vecchie abitudini e “mostrano di preferire al clavicembalo l’organo”, ma per le musiche da chiesa, vocali e strumentali. Nella musica profana per strumenti il numero degli esecutori e la scelta dell’organico è stabilita secondo i musicisti che sono disponibili o è guidata da considerazioni acustiche riguardo i locali oppure dalle abitudini dell’ambiente culturale. L’insieme strumentale è quindi variabile, non solo per la voce grave, ma anche per quelle superiori. Le Ariette, Correnti, Gighe, Allemande, Sarabande composte nel 1677 da G.M.Bononcini e scritte a quattro parti possono essere suonate “a violino solo, a due: violino e violone, a tre: due violini e violone e a quattro: due violini, viola e violone”.
Le sonate da camera per violino e violoncello ovvero clavicembalo solo di E.F. Dall’Abaco, pubblicate nel 1705, possono essere eseguite, se piace, soltanto con lo strumento a tastiera. In genere nella sonata a Solo del 1600 e 1700 il violino può essere sostituito dall’oboe, dal flauto o dal violoncello, che legge un’ottava sotto. Il basso di solito è fatto da uno strumento melodico (violoncello, violone o viola da gamba) e talvolta da un clavicembalo o da un organo. Nel primo caso funziona da basso seguente e suona la parte grave della tessitura, nel secondo fornisce il sostegno armonico.
Il Burney nel Viaggio musicale in Italia descrive l’esecuzione di ragguardevoli musicisti, ad esempio quella dei fratelli Besozzi, che interpretarono un duo strumentale, oboe e fagotto, senza lo stumento aggiunto per realizzare gli accordi. Le due parti, prive del sostegno armonico, realizzarono comunque uno stile che “sarebbe difficile descrivere … La melodia è gradevole e ben distribuita tra i due strumenti” e più avanti nel suo viaggio musicale, testimonia direttamente la prassi esecutiva del secondo settecento, che si teneva indipendente da quella tedesca: “Corilla è violinista, allieva di Nardini… Qualche volta ci trovammo a casa sua soltanto con Nardini ed insieme a lei suonammo dei trii: Nardini nella parte di violino principale, Corilla in quella di secondo violino, ed io li compagnavo con la viola”.